Chi poteva non immaginare che nella trepidante attesa dell’inizio del nuovo anno scolastico dovesse imporsi la polemica, non nuova, sulla scuola italiana, ed in particolar modo sulle sgangherate scuole del profondo sud?
Naturalmente, il Ministro della pubblica istruzione Mariastella Gelmini ha ereditato una situazione poco felice in condizioni esterne altrettanto infelici.
Le sue affermazioni, sono state riprese, svilite, svuotate, con gusto polemico e senza stimoli per fare implodere come sempre un dibattito, a tutti i livelli, appassionante, serio ed approfondito su un tema importantissimo per il futuro di una nazione, come quello della educazione, della scuola.
Insomma, l’attenzione che ritorna fragorosamente verso la disastrata scuola italiana e verso il corpo docente in servizio nelle scuole meridionali che a breve tornerà, in massa e fantozzianamente, a seguire i famigerati “corsi di aggiornamento” – la cui natura tipologica sarà decisa nei primi collegi dei docenti – ci risveglia dal torpore estivo, preannunciandoci un antico e famoso motto del Gattopardo: “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.
E’ da oltre un secolo che l’elite egemone della politica (e quindi della cultura) italiana propone ed impone grandi e piccole riforme strutturali, aggiustamenti e misure nell’ambito della scuola pubblica. Ma, senza entrare nel merito di tali scelte (sarebbe interessantissimo un grande dibattito pubblico sul ruolo della scuola nella società moderna e competitiva), tutto ciò denota una prassi consolidata che ha solamente cambiato il corpo nozionistico degli insegnanti e di conseguenza dei discenti, senza mai cambiare la forma della scuola attraverso l’eliminazione di quella diffusa incapacità degli insegnanti, di molti insegnanti, ad accendere nei discenti l’amore per la cultura e la ricerca, la passione verso lo studio. Questo è, a nostro avviso, il punctum su cui riflettere, il punto critico che azzera alla radice la funzione essenziale della scuola italiana, ormai amorfa e incapace di stare al passo con i tempi.
Naturalmente se a ciò si aggiunge - così come ha puntualmente denunciato Bankitalia ed in particolar modo il Governatore, tra l’altro attentissimo nelle sue relazioni all’educazione e al mondo della scuola – la fatiscenza e l’inadeguatezza delle strutture, e la riduzione del monte ore dedicato alle attività scolastiche, il gioco è fatto! Si è di fronte ad un “intrattenificio statale e di massa” che conferisce diplomi a suggello di un corso di studi che ha valore legale. Sarebbe, per esempio, interessante discutere e dibattere pubblicamente sull’abolizione del valore legale dei titoli di studio in Italia.
Ma di questo a quanto pare nessuno ne parla, e la grande battaglia fra topi e rane continua incessantemente, chiassosa e inconcludente, da oltre un secolo.
Per ora mi interessa capire e seguire le scelte e gli sviluppi che riguardano le scuole degli “sfigati”: le scuole serali pubbliche.
Da qualche hanno si sta lentamente e silenziosamente attuando un piano che rischia di ridurre drasticamente, queste scuole pubbliche estremamente “particolari”, e a nostro avviso importanti, soprattutto in un periodo di crisi culturale e quindi anche economica. Tali scuole rappresentano non solo una importante conquista civile, ma oggi rappresentano un punto di riferimento concreto per la riqualificazione professionale di persone adulte in percorsi orientati ad un “welfare to work”.
A tal proposito vorrei segnalarVi la interessante attività del comitato nazionale per la difesa e la promozione delle scuole serali pubbliche, unico e originale centro di iniziative sulle scuole serali nel panorama italiano, che è nato e conserva il proprio centro operativo nel profondo sud, a Bari. Per chi volesse approfondire il tema può farlo visitando il sito: difendiamo le scuole serali.
Ritengo che la sopravvivenza, anche negli angoli più bui di città e lontane periferie, delle scuole serali pubbliche, meriti più attenzione rispetto all’aggiornamento dei docenti meridionali che in massa frequenteranno pateticamente quei corsi gestiti come al solito da uno Stato paternalista, dalle solite lobby parastatali, parasindacali, legate da sempre con le tombe dell’ingegno: le università italiane.
Giuseppe Simone
PorcoDio
Scritto da: cristo | 09/16/2008 a 17:28
Assistiamo in questi giorni a valanghe di soldi pubblici che, con l'eslpicito assenso dei pù ed il tacito accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un "salvataggio"!
Perche' non fare altrettanto per color che lottano quotidianamente per sopravvivere all'indigenza e alla precarietà? Perchè i soldi per i più deboli non ci sono mai e per "loro" sempre? II Governo Berlusconi, in totale assenza di opposizione ed in sostanziale continuità con quanto ereditato da Prodi, ha deciso di sostenere senza riserve le pretese di Confindustria ed in nome del liberismo sta pesantemente attaccando i diritti ed i salari dei lavoratori, dei pensionati e delle loro famiglie. Questo governo si occupa solo dei banchieri, dei palazzinari, delle imprese, degli “amici degli amici”, riservando lacrime e sangue ai ceti popolari, come testimonia un rapporto redatto sulla base di dati forniti dalla Banca Europea, per cui 120 miliardi di euro sono stati dirottati dai lavoratori alle imprese. Invece di mettere mano a questa vera e propria emergenza, la "TRIADE" Governo-Confindustria-Sindacato ha avviato la stagione del definitivo smantellamento di salari, pensioni, scuola, sanità, giustizia, sicurezza. E’ in atto un evidente tentativo di cancellare le conquiste ottenute dai lavoratori grazie a decenni di dure lotte ed enormi sacrifici. E’ in atto la “svendita totale” della res pubblica per affermare la supremazia degli interessi dei “padroni” rispetto a quelli della “gente”!
NON POSSIAMO PERMETTERLO!
E’ ORA DI FAR SENTIRE LA NOSTRA VOCE!
E’ arrivato il momento, considerata la latitanza di tutti i sindacati - ovvero di quelle organizzazioni nate e finanziate dai lavoratori per la difesa e la tutela del lavoro - di comunicare alle OO.SS. medesime, per iscritto, a firma di tutto il personale delle varie amministrazioni, l'intenzione di non voler più contribuire al “loro-sostentamento” se a breve tempo non saranno in grado di fare il loro mestiere: adeguare salari e pensioni al costo della vita. Cosa che avrebbero già dovuto fare, con fermezza e determinazione, ma che, invece, la loro “inadempienza” ha trascurato, portando il mondo del lavoro ad essere lo scarto della nazione.
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Scritto da: http://statali.blogspot.com | 10/17/2008 a 14:30